Fibra, cibi freschi, calcio e yogurt

Salute-Debora Rasio: contro il tumore al seno e l’intestino, benefici dell’insalata e calcio

“La nostra salute, consigli di Debora Rasio”
“Dieta mediterranea: tanta fibra contro il tumore al seno”

Una dieta sana, come ormai dovremmo sapere, è il primo farmaco che ogni giorno ci protegge e ci aiuta a prevenire malattie anche gravi come quelle cardiovascolari, metaboliche e gli stessi tumori. Ciò che mangiamo gioca un ruolo chiave per la salute e, rispetto ad altre popolazioni e aree geografiche, noi siamo fortunati potendo contare sulla Dieta mediterranea, una delle più efficaci contro le malattie ricca com’è dei grassi buoni del pesce e dell’olio d’oliva, così come delle fibre presenti nella frutta, nella verdura, nei cereali integrali e nei legumi. Ecco che un nuovo studio, statunitense, si aggiunge all’ampia letteratura scientifica che tesse le lodi della Dieta mediterranea cogliendone la specifica capacità di agire sulla popolazione batterica delle ghiandole mammarie e prevenire, così, il tumore al seno.

I BATTERI BUONI NON ABITANO SOLO NELL’INTESTINO
Se è noto che nell’intestino abita una popolazione di miliardi di batteri buoni – chiamata microbiota – dai quali dipendono moltissimi aspetti della nostra salute e del nostro benessere, meno noto è che simili popolazioni risiedano anche in altre parti del corpo, incluse le ghiandole mammarie. Questi batteri del seno sono stati identificati relativamente di recente e subito gli scienziati si sono interrogati su un loro possibile ruolo nel cancro che affligge milioni di donne al mondo. È stato così visto che nelle donne malate la presenza di Lactobacillus nel microbiota del seno era molto ridotta rispetto alle donne sane.

LACTOBACILLUS FINO A DIECI VOLTE IN PIÙ
Partendo da questo assunto gli scienziati hanno preso in esame degli esemplari di scimmie, i primati più simili all’uomo. Per 31 mesi un gruppo di esse è stato nutrito secondo i precetti della Dieta Mediterranea e un altro gruppo, invece, ha seguito una dieta cosiddetta “occidentale” ricca di grassi, zuccheri e povera in fibra e nutrienti essenziali. Ecco, proprio la fibra della quale è ricca la nostra dieta ha fatto la differenza. Essa infatti, quando è metabolizzata dai batteri dà origine a metaboliti che interagiscono con le cellule della ghiandola mammaria e spengono l’infiammazione, una delle principali cause di malattie croniche, tumore incluso. Si è così visto che la presenza di Lactobacillus nei primati alimentati con Dieta mediterranea era di dieci volte superiore rispetto agli altri che avevano seguito la dieta “occidentale”.

UNA PREVENZIONE “LOCALE”
È stata così nuovamente dimostrata l’efficacia della dieta come strumento di prevenzione. Il passo in avanti che compie questo studio è evidenziare il potenziale protettivo della Dieta mediterranea non più solo a livello generale, bensì anche locale, specificamente nel seno riuscendo a influire direttamente sulla popolazione di batteri delle ghiandole mammarie.

QUALCHE FONDAMENTALE…
Iscritta nella lista Unesco dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, la dieta mediterranea rappresenta la sintesi delle conoscenze e delle pratiche riguardanti l’alimentazione che i popoli del Mediterraneo hanno sviluppato nel corso dei secoli e condensato in uno stile nutrizionale fra i più salutari al mondo. Essa è fondata sull’utilizzo di cereali integrali, legumi, erbe, spezie, verdura, olio extra vergine di oliva, semi oleosi e frutta, cibi coadiuvati da un consumo limitato di prodotti animali quali pesce, carne e formaggi. Gli alimenti vegetali sono infatti virtuosi non solo per l’apporto di vitamine, minerali e antiossidanti, ma anche per la ricchezza in fibra solubile, un nutriente sempre più indispensabile per la salute a causa della sua profonda, benefica, interazione con la flora batterica intestinale e con le altre popolazioni di batteri che abitano dentro di noi. Ecco perché è importantissimo recuperare l’utilizzo di cereali integrali e legumi, da affiancare a verdura, frutta secca oleosa e frutta fresca, aumentando in modo semplice l’introito giornaliero di fibra”.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

“La nostra salute, consigli di Debora Rasio”
“Cibi in scatola, attenti alle confezioni”

Preferire cibi freschi, poco trasformati industrialmente, è uno dei precetti base per una sana alimentazione. Non si tratta di evitare solo calorie “vuote”, conservanti, coloranti e altri additivi insalubri, ma anche packaging e confezioni realizzati in materiali certamente idonei a garantire massima igiene e conservazione, ma che spesso nascondono insidie per la salute. Proprio su questo aspetto si sono concentrati i ricercatori della Binghamton University di New York mettendo in luce come le confezioni dei cibi in scatola possano influire negativamente sull’assorbimento dei nutrienti da parte del corpo.

ZINCO 100 VOLTE OLTRE LA NORMA
Gli studiosi si sono focalizzati sull’ossido di zinco (ZnO) un composto chimico comunemente utilizzato nei rivestimenti dei barattoli dei cibi in scatola date le sue proprietà antimicrobiche e la sua capacità di prevenire la colorazione verdognola dovuta allo zolfo che alcuni cibi possono assumere. Dagli esami condotti in laboratorio è stato visto che nanoparticelle di ossido di zinco sono presenti in dosi rilevanti nella quantità di cibo quotidiana che si mangia normalmente e che sono in grado di modificare il modo in cui l’intestino assorbe i nutrienti. In particolare, cibi in scatola di utilizzo diffuso quali mais, tonno, pollo, asparagi sono stati analizzati attraverso la spettrometria di massa – una tecnica utilizzata per identificare sostanze sconosciute o rilevare tracce di sostanze – al fine di stimare quante particelle si trasferissero negli alimenti. È risultata una presenza di ossido di zinco 100 volte superiore al limite giornaliero del possibile apporto alimentare.

GLI EFFETTI SULL’INTESTINO
Prima di questo studio ci si era concentrati sugli effetti delle nanoparticelle sulle cellule intestinali prendendo in considerazione dosaggi molto alti non raggiungibili con la comune alimentazione che si sono rivelati tossici per le cellule. I ricercatori della Binghamton, invece, hanno studiato la funzione cellulare, dagli effetti molto più sottili, considerando dosi di nanoparticelle più compatibili con la reale esposizione a cui s’incorre nella vita di tutti i giorni. È stato quindi visto che questi dosaggi tendono a depositarsi nelle cellule più superficiali del tratto gastrointestinale rimodellandole o causandone la perdita dei microvilli, i componenti deputati all’assorbimento dei nutrienti. Tale perdita si traduce, appunto, in un minore assorbimento di nutrienti.
Oltre a quanto descritto è stato osservato che un eccessivo deposito di nanoparticelle può scatenare reazioni infiammatorie a livello intestinale aumentando la permeabilità dell’intestino stesso. E da un intestino più permeabile potrebbero accedere nel sangue sostanze nocive o frammenti batteri intestinali in grado di innescare reazioni immuno-infiammatorie.

UN ALTRO TASSELLO PER LA PROTEZIONE DEI CONSUMATORI
Trattandosi del primo studio condotto al fine di analizzare gli effetti di nanoparticelle di ZhO sul corpo umano “è difficile affermare quali potrebbero essere gli effetti di lungo termine dell’ingestione, soprattutto basandosi su test di laboratorio condotti su modelli di colture cellulari”, precisa Gretchen Mahler, docente di bioingegneria e membro del team di ricercatori. “Ciò che possiamo sostenere – afferma – è che il nostro modello mostra che le nanoparticelle producono un effetto in vitro e comprendere in che modo esse incidano sulle funzioni intestinali rappresenta un’importante area di studio nell’ambito della protezione dei consumatori”.

TEMPO ALLA SCIENZA, INTANTO PRUDENZA
Pertanto, come già abbiamo avuto modo di raccomandare in questa rubrica, mentre consentiamo alla scienza di fare il suo corso facciamo tesoro dei suoi piccoli grandi progressi per sforzarci di assumere comportamenti di buon senso orientati alla protezione della nostra salute. Teniamo a mente che i cibi in scatola non dovrebbero rappresentare la regola bensì l’eccezione in una dieta sana, genuina e ricca di nutrienti essenziali”.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

“La nostra salute, consigli di Debora Rasio”
“Calcio: i latticini non bastano

“Il calcio è il minerale più abbondante nel nostro corpo. Tutti sanno che costituisce l’elemento essenziale della struttura ossea, mentre è forse meno noto il suo ruolo chiave in numerose altre funzioni quali la trasmissione dell’impulso nervoso, la produzione di ormoni, l’equilibrio acido-base, la contrazione dei muscoli, il controllo della pressione arteriosa e la coagulazione del sangue. Non solo: alterando i campi elettrostatici locali e la struttura delle proteine, il calcio partecipa alla trasduzione dei segnali dall’ambiente esterno verso l’interno delle cellule.
Tuttavia a questi scopi provvede solo l’1% del calcio presente nell’organismo, laddove il restante 99% è stoccato nello scheletro, denti inclusi. Di fronte a un ridotto apporto, il corpo redistribuisce come può il calcio di cui dispone: ne toglie un po’ alla massa ossea per garantire le altre funzioni. A lungo andare, se il gap non viene colmato, lo scheletro ne risentirà divenendo sempre più fragile ed esponendoci a maggiore rischio di fratture per traumi anche minimi (in particolare di vertebre, femore, polso, omero, caviglia). È quanto accade a chi soffre di osteoporosi, malattia che in base alle stime diffuse dal ministero della Salute affligge circa 5 milioni di persone in Italia, l’80% delle quali donne in post-menopausa.

QUANTO CALCIO AL GIORNO
Il fabbisogno di calcio varia a seconda delle età: nei bambini e negli adulti è di 1 grammo al giorno; negli adolescenti, nelle donne in gravidanza, in allattamento e in post-menopausa (a rischio di osteoporosi per il deficit relativo di estrogeni) è di 1200-1300 mg al giorno.
Anche se 1 grammo di calcio al giorno può sembrare molto, dobbiamo considerare che ne assorbiamo solo una minima parte: il 30% nei latticini e il 20% nelle verdure. Il reale fabbisogno di calcio, pertanto, sarebbe di 3-400 mg di calcio assorbibile al giorno, corrispondenti a 1000-1200 mg di calcio proveniente da fonti alimentari diverse. Preoccupa che solo il 15% della popolazione generale assuma con la dieta i quantitativi previsti di calcio.

SEGNALI DA NON SOTTOVALUTARE
Come possiamo accorgerci di avere una carenza di calcio? Un buon indicatore è certamente l’età. Abbiamo visto che la menopausa ne aumenta il rischio perché gli estrogeni aumentano l’assorbimento di calcio e stimolano la produzione di tessuto osseo. Lo stesso vale per gli uomini quando inizia a venir meno il testosterone. In generale, altri segnali che possono indicare un suo deficit e dovrebbero metterci in allerta sono: disturbi del ritmo cardiaco, problemi di coagulazione del sangue, spasmi muscolari o crampi, intorpidimento e formicolio alle dita e ipertensione. È anche vero che la perdita di massa ossea avviene in modo tanto graduale e impercettibile da rendercene conto solo a seguito di esami approfonditi ai quali, molto probabilmente, ci sottoporremo solo al momento di una brutta caduta o di una frattura. Prima che ciò avvenga un buon modo per tenere sotto controllo i livelli di calcio nell’organismo è misurare periodicamente la vitamina D con un’analisi del sangue. Questo ormone, infatti, facilita l’assorbimento di calcio da parte del corpo e il suo fissarsi nell’osso.

AIUTARE IL CORPO AD ASSORBIRE IL CALCIO
La stragrande maggioranza di noi è stata educata a pensare che consumare latte vaccino e suoi derivati sia la migliore cosa da fare per prevenire o compensare la mancanza di calcio. In realtà non c’è una correlazione dimostrata tra maggiore consumo di latticini e minore rischio di osteoporosi tanto che le linee guida ufficiali raccomandano un’alimentazione “varia ed equilibrata” senza limitarsi al solo consumo di latte, yogurt e formaggi. Non che questi alimenti siano poveri in calcio, ma oltre a non essere gli unici non basterebbero, comunque, ad assicurarne il giusto apporto. Per centrare quest’obiettivo, infatti, oltre ad ingerire il minerale attraverso il cibo bisogna anche mettere il corpo nella condizione di assorbirlo. La biodisponibilità del calcio è facilitata da particolari nutrienti quali: la già citata vitamina D; la vitamina K2 che dirige il calcio dove necessario ed è una sorta di “colla” che aiuta il corpo a costruire ossa; il magnesio del quale la gran parte di noi ha scorte insufficienti mentre, insieme al calcio, aiuta a rilassare i muscoli e rendere forte l’osso.

COSA MANGIARE
Per assicurare all’organismo la giusta dose giornaliera di calcio ed evitare così di incorrere in carenze è necessario introdurre con la dieta una varietà di alimenti. Tra i derivati del latte andrebbero preferiti kefir, yogurt e formaggi stagionati, specie quelli ottenuti dalla lavorazione del latte crudo, in cui il calcio è reso biodisponibile dai processi fermentativi di batteri, muffe e lieviti.
Trenta grammi di parmigiano, grana, pecorino e emmenthal contengono circa 330 mg di calcio; 150 grammi di yogurt apportano 200 mg di calcio.
Nel burro proveniente da mucche a pascolo, che mangiano erba o fieno secco e sono esposte alla luce del sole, si concentrano, oltre a calcio e fosforo, le vitamine liposolubili: vitamina D, E, K2 e carotenoidi. La combinazione di questi micronutrienti ottimizza la fissazione del calcio a livello dell’osso. Questo tipo di burro, meglio se chiarificato, è importantissimo nell’alimentazione di neonati, bambini e adolescenti che a causa del rapido accrescimento necessitano di un sostegno ottimale alla formazione dell’osso. Emblematico a questo riguardo l’esempio, durante l’industrializzazione, del diffondersi del rachitismo nei bambini delle famiglie povere costrette a vendere la panna alle famiglie ricche e a dare ai propri figli il latte scremato.
Anche il pesce è una buona fonte di calcio: soprattutto le sardine in scatola, di cui si consuma anche la lisca (apportano 380 mg di calcio per 100 grammi) e i gamberi (220 mg di calcio. Fra le verdure spiccano in ordine decrescente per concentrazione di calcio la rucola (300 mg in 100 grammi), gli spinaci, la cicoria, gli agretti, la bieta, il radicchio, i broccoletti, l’indivia e il carciofo (meno di 100 mg per 100 grammi). Se è vero che l’acido fitico e ossalico presenti nei vegetali interferiscono con l’assorbimento di calcio, le diete ricche in fitati, tuttavia, non si associano a ridotta densità ossea ma al contrario ad un miglioramento della massa ossea. La ragione probabile è che i vegetali in generale tendono ad alcalinizzare il sangue, rendendo meno necessario attingere alle riserve di calcio per tamponare l’acidità. Ecco perché, fra l’altro, è sempre bene associare ad alimenti ad elevato carico acido come le proteine, abbondanti verdure e frutta in grado di apportare minerali ad effetto alcalinizzante. Notevole l’apporto di calcio da semi e frutta secca: in particolare semi di sesamo (circa 1000 mg di calcio per 100 grammi) e chia (600 mg per 100 grammi) oltre che mandorle (240 mg per 100 grammi), noci del Brasile e nocciole (150 mg di calcio/100 grammi). Da non sottovalutare il contributo di erbe aromatiche e spezie: salvia (600 mg per 100 grammi), basilico e prezzemolo (250 mg per 100 grammi). Il loro utilizzo, fra l’altro, riduce il bisogno di aggiungere sale, minerale che favorisce l’escrezione di calcio con le urine. Il tofu è una fra le migliori fonte di calcio per i vegani. L’abbondanza di calcio nel tofu è dovuta al suo utilizzo per far precipitare il latte di soia nel coagulo solido. Tutti i legumi, comunque, partecipano al mantenimento di un buon bilancio del calcio non tanto perché ne siano ricchi quanto perché, abbassando il pH fecale, ne favoriscono l’assorbimento a livello intestinale.

COSA BERE
È ormai diffusa l’abitudine di consumare acque in bottiglia “leggere”, ovvero povere di minerali e oligoelementi. Niente di più sbagliato. Il contenuto in minerali dei cibi che mangiamo si sta riducendo progressivamente e rinunciare a quelli dell’acqua non può che acuire il problema. Per chi sta cercando di aumentare l’assunzione di calcio il consiglio è di scegliere un’acqua ricca di questo elemento, meglio ancora se in grado di apportare buoni quantitativi di silicio, un altro minerale che partecipa alla struttura dell’osso e che, in aggiunta, ha la capacità di inglobare nella sua struttura l’alluminio (una potente neurotossina) favorendone l’eliminazione attraverso i reni.

E COSA EVITARE
Una dieta ricca di zuccheri e proteine e povera di minerali alcalinizzanti quali magnesio, potassio e zinco, indurrà il rilascio di calcio dall’osso per tamponare l’eccesso di acidi formati durante il metabolismo di queste sostanze. Ci sono, poi, alimenti o combinazioni di alimenti da evitare perché ostacolano l’accumulo di scorte di calcio da parte dello scheletro. Caffè, tè ed alcol, se abbinati ad alimenti ricchi di calcio, interferiscono con il suo assorbimento. Assolutamente da ridurre è l’uso del sale in cucina e i cibi ricchi di sodio come gli alimenti ultraprocessati, in scatola o in salamoia, gli insaccati, i dadi da brodo: il sale in eccesso aumenta la dispersione di calcio attraverso l’urina. Particolare cautela, infine, per chi fa uso di farmaci – in particolare per la terapia della gastrite e dell’epilessia – che incidono direttamente sul metabolismo del nostro prezioso minerale: per costoro ottimizzare l’apporto di minerali con la dieta diviene ancora più importante.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

“La nostra salute, consigli di Debora Rasio”
“E se i formaggi facessero dimagrire?”

Ricotta, gorgonzola, caciottina, caciocavallo, provola e scamorza. Il sogno proibito per chiunque sia alle prese con la sfida di perdere peso. I formaggi, soprattutto se stagionati, sono infatti alimenti molto grassi e fortemente limitati – quando non del tutto vietati – nelle prescrizioni di una dieta dimagrante. E se questa certezza lapidaria del sapere condiviso in materia di alimentazione venisse, finalmente, scalfita? Se scoprissimo che i formaggi non sono poi così nemici della linea anzi, in alcuni casi, potessero persino favorirla? Dalla scienza arriva qualche barlume di speranza in questa direzione. Ma ancora non sufficiente a dare il “liberi tutti” per sostituire senza rimorsi il piatto di verdurine lesse con una bella mozzarella di bufala. Ciò premesso, è pur vero che da alcuni studi emergerebbe come assumere più calcio contribuisca a prevenire l’aumento di peso.

PIÙ CALCIO, MENO CHILI? LA SCIENZA SI INTERROGA.

Il condizionale è d’obbligo poiché non c’è ancora piena evidenza scientifica del fatto che consumare alimenti ricchi di calcio contribuisca a contrastare l’obesità. Eppure questa rimane una strada battuta dai ricercatori i quali, lontani ancora dall’aver raggiunto risultati inconfutabili, ne dispongono a sufficienza per non escludere una correlazione tra aumento di calcio nell’alimentazione e riduzione del peso corporeo.
Su questo potenziale legame tra assunzione di calcio e cambiamento del peso si è concentrata un’analisi recentemente pubblicata da The American Journal of Clinical Nutrition. Per semplificare potremmo affermare che i ricercatori coinvolti abbiano provato a “mettere ordine” tra 1524 articoli dedicati al tema. Tra questi ne hanno selezionati 33 degni di maggiore attenzione. Passandoli in rassegna uno a uno, gli scienziati hanno concluso che l’equazione “più calcio, meno chili” non sia significativa. Ma andando oltre e dividendo gli studi in sottogruppi secondo l’età del campione di popolazione considerato da ogni singola analisi, sono emersi dati significativi. Più nel dettaglio, i ricercatori hanno appurato che bambini, adolescenti, adulti e donne in età pre-menopausa o anziane abbiano registrato una effettiva diminuzione di peso a fronte di una maggiore assunzione di calcio. Lo stesso fenomeno non è stato appurato, ad esempio, nel caso di donne in età immediatamente successiva alla menopausa, quando i livelli di calcio sono già bassi e impiegati dall’organismo più al fine di rafforzare le ossa che di perdere peso.

CALCIO E OBESITÀ: NON UNA CURA, FORSE UNA PREVENZIONE.
Dopo aver classificato gli studi presi in esame per età del campione, i ricercatori hanno suddiviso nuovamente i dati, questa volta scegliendo come criterio l’indice di massa corporea dei soggetti analizzati. Le conclusioni sono state piuttosto interessanti poiché l’effetto di una dieta ricca in calcio sulla perdita di peso è stato sì rilevato, ma solo in coloro che avevano un indice di massa corporea nella norma. Al contrario, nessuna correlazione tra calcio e dimagrimento è emersa in quanti presentavano un indice di massa corporea alto. Queste rilevazioni suggeriscono che un’alimentazione ricca in calcio nell’alimentazione potrebbe svolgere un ruolo di prevenzione dell’obesità, ma non di contrasto. Sarebbe così forse spiegato il perché le donne francesi, pur mangiando burro, formaggi, madeleines, pains au chocolat e croissants tutti i giorni, siano fra le più magre d’Europa? Un’ipotesi che merita certamente di essere esplorata.

DALLA GENETICA UNA POSSIBILITÀ.
Oltre a quelle già descritte c’è un’ulteriore possibilità presa in considerazione dagli scienziati e potenzialmente foriera di buone notizie per gli amanti del latte e dei suoi derivati. Una possibilità che arriva dalla genetica. Uno studio danese – tra i 33 presi in considerazione nell’attenta opera di revisione di cui stiamo parlando – suggerisce che i latticini contribuirebbero particolarmente a ridurre l’aumento del peso in chi è predisposto geneticamente ad accumulare grasso nel punto vita. I dati statistici in merito concordano nel rilevare che chi ha il girovita abbondante, rispetto a tutti gli altri, se sottoposto a una dieta ricca di calcio, possa godere di benefici aggiuntivi in termini di riduzione della circonferenza del punto vita.

NESSUN MIRACOLO: ALLA SCIENZA IL SUO TEMPO
Ma in che modo il calcio – e i cibi che ne sono ricchi – aiuterebbe a dimagrire? Limitandosi a quanto osservato sinora sembrerebbe che il calcio sia in grado di legare gli acidi grassi nel tratto gastrointestinale, in un processo di “saponificazione” che ne inibisce l’assorbimento con importante riduzione dell’introito calorico. Per quanto potenzialmente “rivoluzionaria”, questa rilevazione non può essere ancora promossa al grado di “scoperta” scientifica e non rappresenta al momento, in nessun modo, una sorta di “cura miracolosa” dell’obesità a base di provole e caciotte. Intanto, mentre la ricerca lavora, a noi non resta che ben sperare. Senza però illuderci che quell’ottima mozzarella di bufala, a cui ogni tanto rinunciamo con sacrifico, sia improvvisamente diventata capace di farci dimagrire.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

“La nostra salute, consigli di Debora Rasio”
“Yogurt. Antico alimento, nuovi benefici”

“Katyk (Armenia), dahi (India), zabadi (Egitto), mast (Iran), leben raib (Arabia Saudita), laban (Iraq e Libano), roba (Sudan), iogurte (Brasile), cuajada (Spagna), coalhada (Portogallo), dovga (Azerbaigian), matsoni (Georgia, Russia, Giappone). Sono solo alcuni dei nomi usati al mondo per definire lo yogurt, alimento che entra nella dieta umana tra i 10mila e i 5mila anni AC con l’addomesticamento da parte dell’uomo di animali produttori di latte. Derivato fermentato del latte e rimasto per millenni la sola alternativa per conservarlo e poterlo consumare anche senza berlo immediatamente, il termine “yogurt” dovrebbe derivare dalla parola turca yoğurmak che significa denso, coagulato, cagliato. Le prime tracce dei benefici dello yogurt compaiono negli scritti della medicina Ajurvedica e risalgono a oltre 6mila anni fa, ma è solo nel 20mo secolo che Stamen Grigorov, uno studente di medicina bulgaro attribuisce con certezza le proprietà dello yogurt a un determinato batterio in esso contenuto e chiamato, da allora, Lactobacillus bulgaricus. Era il 1905 e appena qualche anno dopo, sulla base della scoperta di quel giovane medico, il Nobel russo, Yllia Metchnikoff, ipotizzò che proprio nel lactobacillus potesse risiedere almeno parte della spiegazione della longevità della popolazione bulgara di allora. La prima fabbrica di yogurt europea fu aperta in Francia, da quella che ancora oggi è l’attuale Danone, nel 1932. Nove anni dopo fu la volta degli Stati uniti.

UN AIUTO A CHI SOFFRE DI PRESSIONE ALTA
Circa un miliardo di persone al mondo soffre di pressione alta, il principale fattore di rischio per l’insorgere di più gravi malattie cardiovascolari. Negli ultimi decenni sono state numerose le evidenze per cui assumere più latticini e prodotti caseari contribuisca a ridurre problemi cardiovascolari e patologie a essi legati quali diabete di tipo2, ipertensione, insulino-resistenza. Ma uno studio piuttosto recente – pubblicato dalla Oxford University Press sull’ American Journal of Hypertension – ha aggiunto elementi ulteriori che associano, nello specifico, un maggior consumo di yogurt a un minore rischio di contrarre malattie cardiovascolari in persone che già soffrono di pressione alta.

DUE VOLTE A SETTIMANA
Massiccio il campione preso in esame di 55mila donne di età compresa tra 30 e 55 anni e 18mila uomini tra i 40 e i 75, affetti da ipertensione. Le loro abitudini alimentari e le condizioni di salute sono state osservate per una trentina d’anni alla fine dei quali è emerso che il maggior consumo di yogurt corrispondesse nelle donne al 30% in meno di rischio d’infarto miocardico e negli uomini al 19% in meno. In entrambi i gruppi sotto osservazione quanti hanno assunto almeno due porzioni di yogurt a settimana hanno riportato un rischio inferiore di circa il 20% rispetto agli altri di contrarre malattie del sistema coronarico o infarto.
“Ipotizziamo che il consumo di yogurt nel lungo periodo possa ridurre i problemi cardiovascolari dopo che già diversi studi di portata minore hanno mostrato gli effetti benefici dei prodotti caseari” ha dichiarato uno dei coautori dello studio, Justin Buendia. “In questo caso – ha aggiunto – abbiamo un campione molto ampio osservato per oltre 30 anni e i nostri risultati forniscono nuove evidenze che lo yogurt sia d’aiuto al cuore sia da solo che ancor di più consumato come parte consistente di un’alimentazione ricca di fibre, frutta, verdura e cereali integrali”.

UNA MANCATA OPPORTUNITÀ
Nonostante sia una ricchissima fonte di calcio, il consumo di yogurt è molto variabile da paese a paese, ma generalmente ridotto rispetto al potenziale di salute che rappresenta questo alimento: in Paesi come il Brasile e gli Stati Uniti, ad esempio, non supera il 6% la quota di popolazione che consuma abitualmente yogurt. Un’opportunità persa per contribuire a uno stile di vita sano dato l’alto contenuto di calcio, di proteine biodisponibili, di probiotici preziosi per la salute dei miliardi di batteri buoni che abitano il nostro intestino e dai quali dipende una buona fetta del nostro benessere generale.

BIANCO, INTERO, BIOLOGICO
Lo yogurt dovrebbe essere bianco, non addizionato di frutta o zucchero, per evitare che il fruttosio, con il suo elevatissimo potere ossidante, “glichi” le proteine del latte creando un prodotto ossidato, nocivo per la fisiologia. Dovrebbe essere intero. I grassi infatti, pur aumentando le calorie, diminuiscono l’insulina, l’ormone con cui formiamo depositi di grasso, e promuovono una sazietà prolungata. Gli yogurt alla frutta, invece, addizionati di zucchero, fruttosio, o sciroppo di glucosio-fruttosio, inducono uno stimolo molto più potente alla secrezione di insulina, e, a fronte delle talvolta minor calorie, segnalano al corpo di accumulare grasso. Va sempre scelto intero soprattutto perché è solo nella frazione grassa che troviamo i preziosi nutrienti liposolubili (vitamina A, E, K, D e colina), responsabili della maggior parte del potenziale antiossidante del latte.

Dottoressa Debora Rasio
Nutrizionista presso l’ospedale Sant’Andrea
Università di Roma La Sapienza

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